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La storia della pena di morte in Italia

Il 4 marzo del 1947, tre balordi, colpevoli di una  tragica rapina che costò la vita a dieci persone, furono fucilati mentre di lì a poco nel Parlamento si arriverà all’ abolizione di una pratica barbara e indegna per un paese civile. Come si arrivò a eliminare la pena capitale nel nostro Paese?

All’indomani dell’Unificazione d‘Italia, il neonato Parlamento si trovò diviso tra abolizionisti e favorevoli alla pena di morte. A prevalere furono i primi con la promulgazione del Codice Zanichelli nel 1889. Con l’avvento del fascismo, Mussolini la reintrodusse nel 1926, punendo i colpevoli di reati contro lo Stato, di attentati alla vita di membri della famiglia reale e del capo del governo, essendo Mussolini stesso vittima di diversi attentati alla sua persona. Un nuovo decreto entrato in vigore nel 1931 (Codice Rocco), aumentò il numero di reati punibili contro la morte, tra cui moli reati comuni. Con la fine della guerra e con la sconfitta dei nazifascisti, l’Italia si trovò in uno stato di caos, per questo si decise di mantenere in vigore anche se in maniera temporanea la pena capitale per i colpevoli di “collaborazionismo” con i soldati tedeschi. Si arrivò finalmente con l’abolizione il 4 marzo 1947, esattamente 69 anni fa.

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