Le foibe sono delle cavità naturali, dei pozzi, presenti sul Carso (altipiano alle spalle di Trieste e dell’Istria). Alla fine della Seconda guerra mondiale i partigiani comunisti di Tito vi gettarono (infoibarono) migliaia di persone, alcune dopo averle fucilate, alcune ancora vive, colpevoli di essere italiane o contrarie al regime comunista.Purtroppo è impossibile dire quanti furono gettati nelle foibe: circa 1.000 sono state le salme esumate, ma molte cavità sono irraggiungibili, altre se ne scoprono solo adesso (60 anni dopo) rendendo impossibile un calcolo esatto dei morti. Approssimativamente si può parlare di 6.000 – 7.000 persone uccise nelle Foibe, alla quali vanno aggiunte più di 3.000 persone scomparse.I salesiani di Caserta,il 10 febbraio ricorderanno questa immanente strage sia con un momento comunitario che con un minuto di silenzio nelle classi.
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Foibe: il documentario per non dimenticare
Per “foibe” si intendono le stragi della popolazione italiana della Venezia Giulia e della Dalmazia durante la Seconda guerra mondiale e nel dopoguerra. Il nome deriva dai grandi inghiottitoi carsici dove furono gettati molti dei corpi, che nella Venezia Giulia sono chiamati, appunto, “foibe”.
La vicenda viene ripercorsa all’interno del documentario dalle toccanti parole di Graziano Udovisi, l’unico sopravvissuto al massacro delle foibe, deciso a raccontare, dopo tanti anni, la sua terribile storia di infoibato, salvatosi per puro caso.
Venuto a conoscenza che i suoi soldati erano ricercati dagli slavi, il 5 maggio 1945 si presentò al Comando slavo, raccontando di aver portato in salvo i suoi subalterni a Capodistria prima di raggiungere Pola. Il 13 maggio di quello stesso anno, viene rinchiuso in una cella di circa 16 mq, senza presa d’aria, insieme ad una trentina di soldati. Nella notte fra il 13 e il 14 maggio viene prelevato dalla cella e torturato insieme ad altri cinque commilitoni. Il 14 maggio viene trascinato sull’orlo della foiba di Fianona per essere trucidato. Riuscitosi a liberare i polsi dal fil di ferro che lo legavano grazie ad uno sparo, si getta nel baratro, prima che una raffica di mitra lo uccidesse. Nella foiba, a una profondità di venti-trenta metri c’è una pozza d’acqua. In questo modo si salva Risalendo, la sua mano incappa in una testa che prontamente afferra, salvando così un altro sventurato (Giovanni Radeticchio detto “Nini”).