#Relatività100: la teoria della relatività ristretta

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Einstein, più che i lavori di suoi illustri coevi, aveva ben fissa in testa l’idea della fisica come di una scienza volta a svelare all’uomo l’intero universo nella sua nuda bellezza; in altri termini, lo scienziato tedesco, era animato dalla ricerca del bello e della semplicità. Egli stesso ebbe modo di dire anni più tardi “Tutti questi lavori sono basati nella fede di un mondo che abbia una struttura completamente armonica. Oggigiorno abbiamo più solide ragioni che mai per non lasciarci distogliere da questo meraviglioso credo. Equazioni di tale complessità come quelle del campo gravitazionale si possono trovare solo attraverso la scoperta di una condizione matematica logicamente semplice.

Poiché era uno scienziato con un profondo senso estetico, non tollerava che il principio di relatività non valesse per l’elettromagnetismo allo stesso modo in cui valeva per la meccanica[9] di Newton.

Nel settembre del 1905, appena ventiseienne, quando lavorava all’Ufficio Brevetti svizzero svolgendo la semplice mansione di impiegato, pubblicò l’articolo di cui si è detto poc’anzi, l’articolo che in poche pagine delineava le linee essenziali di una teoria che avrebbe scosso dalle fondamenta la visione del mondo: la “teoria della relatività ristretta”.

Einstein pose a fondamento della sua teoria due soli assiomi: il primo asserisce che tutte le leggi della fisica, non solo quelle della meccanica ma anche quelle dell’elettromagnetismo, ubbidiscono al principio di relatività; il secondo afferma che la velocità della luce nel vuoto, c, ha sempre lo stesso valore da dovunque e comunque la si misuri ed essa non si somma o sottrae ad altre velocità e risulta una velocità che in natura non può essere superata.

Il primo assioma è una generalizzazione a tutta la fisica del principio di relatività galileiana. Si tratta di un assioma che nasce dalla fiducia di Einstein nel fatto che fosse possibile descrivere la natura con leggi semplici ed eleganti: in effetti, una fisica in cui le leggi sono le stesse per tutti gli osservatori è molto più semplice di una in cui le leggi variano nel passare da un sistema di riferimento all’altro.

Il secondo assioma può essere interpretato come caso particolare del primo: se le leggi della fisica sono le stesse per tutti gli osservatori e se per tutti valgono le equazioni di Maxwell, poiché esse prevedono un preciso valore per la velocità della luce, questo è il valore che si deve misurare qualunque sia l’osservatore scelto.

Einstein, quindi, piuttosto che introdurre ipotesi fantasiose e complicate per piegare l’elettromagnetismo alla meccanica, partendo dall’assunto che l’elettromagnetismo, già ampiamente verificato e confermato dagli esperimenti, si reggeva per intero sulla matematica, pensò, in maniera ardita e geniale, che si dovesse modificare la meccanica dalle fondamenta, perché tutto potesse armonizzarsi a quell’ordine matematico che governa l’universo: un’idea tanto cara anche ai fisici moderni eppure vecchia quanto l’intera fisica.

I postulati della teoria della relatività ristretta sono carichi di conseguenze.

La velocità “v” di un corpo è nient’altro che il rapporto tra lo spazio percorso “s” il e tempo trascorso “t” per percorrerlo secondo l’equazione v=s/t. Se ora si pensa a due osservatori S e S’, con il secondo che si muove a velocità costante V rispetto al primo, è chiaro che un qualunque oggetto che si muove a velocità v’ rispetto a S’ avrà velocità v rispetto a S data dall’equazione v=v’ + V. Questa legge è incompatibile con il principio della costanza della velocità luce perché la luce si muove a velocità c sia rispetto all’osservatore fisso S che rispetto all’osservatore mobile S’ (l’equazione precedente assicura la coincidenza delle velocità v e v’ solo quando V=0, in altre parole quando entrambi gli osservatori sono fermi). Va da sé dunque, che per spiegare questa anomalia,  considerando vera l’ipotesi della costanza della velocità della luce (mai negata dall’evidenza sperimentale), e ricordando che la definizione di velocità consiste in un spazio diviso il tempo, si debba concludere che quanto meno il tempo sia diverso per i due osservatori: coerentemente con i simboli adottati si deve assumere tt’.

Per comprendere al meglio la portata di tale “scoperta” si provi ad immaginare un osservatore in quiete sulla Terra e dotato di orologio e ad un altro all’interno di una navicella spaziale in movimento rispetto ad esso a velocità v’. Se l’osservatore fisso prova a misurare il tempo di caduta di un oggetto dall’altezza di 10 m, non riscontra nessun problema e leggerà sul display del suo orologio 1,43 secondi circa; quando invece deve misurare la durata dello stesso fenomeno che avviene rispetto all’osservatore in movimento, il display fornirà una lettura di tempo diversa dalla precedente.

In effetti, la teoria della relatività presuppone la dilatazione dei tempi: la durata di un fenomeno risulta minima se detto fenomeno avviene rispetto ad un osservatore in quiete mentre è maggiore per tutti quegli osservatori in moto rispetto a quello fisso.  

Ritornando all’esempio precedente, l’osservatore fisso, nel secondo caso, registrerà un tempo di caduta dell’oggetto più lungo: se la navicella viaggiasse ad una velocità pari al 99% di quella della luce il tempo di caduta sarebbe 10 volte più grande. 

Questo significa pure che la caduta dell’oggetto sulla Terra avviene 10 volte più velocemente, e quindi che un qualunque orologio scandirà il tempo più rapidamente. 

È evidente dunque che ciascun osservatore ha una propria scala temporale, che normal­mente è solo sua e non concorda con quella degli altri.

Dal nostro punto di vista il tempo non appare mai deformarsi; ma relativamente ad un altro osservatore che si muova rispet­to a noi, il nostro tempo appare sfasato.

Questa bizzarra sfasatura delle scale temporali offre la possibilità di viaggiare, per così dire, nel tempo. In un certo senso tutti noi viaggiamo nel tempo, diretti verso il futuro; ma essendo il tempo elastico alcuni possono arrivarvi prima di altri.

Se si immagina di trovarsi in una astronave capace di viaggiare a velocità prossime a quelle della luce si può letteralmente viaggiare nel futuro. Se partissimo adesso a velocità relativistiche[10], il tempo che misureremo sull’astronave, il nostro tempo proprio, trascorrerebbe normalmente, ma rispetto ad un osservatore sulla terra trascorrerebbe più lentamente, o, ciò che è lo stesso, a noi che siamo sull’astronave il tempo della terra apparirebbe scorrere più velocemente. In teoria si potrebbe raggiungere l’anno 2010 nel giro di poche ore.

Un fenomeno legato alla distorsione temporale è il cosiddetto “paradosso dei gemelli”. Un gemello parte per la stella vicina viaggiando ad una velocità prossima a quella della luce. Il gemello rimasto a casa ne attende il ritorno: il viaggio durerà complessivamente dieci anni. Fi­nalmente l’astronave ritorna sulla Terra e i due gemelli si incontrano: quello che è rimasto a casa è invecchiato di dieci anni, mentre l’altro soltanto di uno. L’elevata velocità gli ha fatto sperimentare solo un anno sull’astronave, mentre sulla Terra sono trascorsi dieci anni.

Affinché il tempo possa deformarsi in modo ap­prezzabile si rendono necessarie velocità dell’ordine di pa­recchie migliaia di chilometri al secondo: alle velocità attual­mente raggiungibili per mezzo di razzi solo un orologio atomico della massima precisione è in grado di rilevare un’infinitesima deformazione temporale.

E come il tempo, anche lo spazio subisce delle deformazioni spettacolari quando ci si avvicina alla velocità della luce. In particolare quando il tempo si allunga, lo spazio si contrae, fino a tendere a zero quando la velocità tende a c.

La cifra più alta della teoria della relatività si concreta proprio nella demolizione del concetto di tempo e spazio assoluti, validi cioè in tutto l’universo. Con la teoria della relatività non esiste più un orologio capace di battere un tempo identico per tutti; né esiste più uno spazio semplicemente da misurare e valido a prescindere di chi effettua la misura. L’assoluto spaziale e temporale diventa relativo all’osservatore che effettua la misura e al suo stato di moto.

Non solo.

Lo spazio e il tempo sono indissolubilmente legati tra loro e fusi a formare un’unica entità denominata dai fisici spazio-tempo.

[9] Parte della fisica che studia le leggi e le cause che presiedono al moto e alla quiete dei corpi.

[10] Si intendono relativistiche le velocità confrontabili in ordine di grandezza con quelle della luce.

Prof. Lorenzo Scialla

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