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Prendimi l’anima: un viaggio nella psicanalisi

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Continua il nostro viaggio nel mondo del cinema dedicato alla psicologia. Il titolo che proponiamo questa volta è Prendimi l’anima di Roberto Faenza.

Il film racconta la storia di Sabine Spielrein, una giovane donna russa di origini ebraiche vissuta agli inizi del ‘900: affetta da crisi isteriche e da una forte nevrosi, è condotta dai genitori, commercianti facoltosi, presso l’ospedale psichiatrico di Zurigo, dove è presa in cura da Carl Gustav Jung, pupillo e discepolo di Freud. Egli, inizialmente interessato alla donna come paziente, viene successivamente travolto da una passione che lo turba profondamente e che, nonostante i numerosi ripensamenti e rimorsi, lo condurrà a provare una “maledetta felicità”. La relazione tra i due amanti termina quando Sabine, dopo essere stata curata con successo, decide di tornare a Mosca per ricominciare una nuova vita, pur mantenendo un intenso rapporto epistolare con Jung: si laurea in medicina e successivamente in psicologia, sposa un medico russo e partorisce due bambine; inoltre, fonda un asilo chiamato “l’Asilo bianco” per il colore delle pareti, in cui utilizza i propri metodi pedagogici basati sulla libertà di pensiero e sulla creatività individuale. Agli inizi della Seconda Guerra Mondiale, Sabine e le figlie vengono arrestate dai tedeschi, trasportate in una sinagoga e uccise insieme a tutta la comunità ebraica di Mosca, mentre Jung, ormai vecchio, partecipa all’evento con una delle sue tante premonizioni.

In Prendimi l’anima Roberto Faenza descrive in modo comprensibile a tutti l’innovativo metodo psicanalitico ideato da Freud: prima delle sue teorie, l’unica cura possibile contro l’isteria era l’elettroshoc; Freud, invece, ipotizzò che per curare i malesseri psichici bisognasse parlare del proprio vissuto e dei traumi subiti nel corso della vita ad uno psicanalista, dotato della capacità di immedesimarsi nel vissuto del paziente e di instaurare un rapporto attivo con lui. è ciò che accade nel dialogo durante il primo incontro tra Sabine e Jung: il legame che progressivamente si instaura tra i due mostra uno dei rischi di questa terapia, poiché il rapporto tra medico e paziente diventa di tipo affettivo.

La scelta di raccontare una psicanalisi dal volto umano, senza inoltrarsi troppo nella teoria e lasciando spazio ad una struggente storia d’amore che si intreccia con le vicende della Storia, fa del film di Faenza un titolo da consigliare a quanti vogliono saperne di più sulle ricerche freudiane, senza rinunciare alle emozioni che i bei film sanno suscitare.

Dal nostro Repertorio

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