Non spegniamo l’attenzione sui femminicidi e violenza contro le donne

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In Italia una donna su tre è (o è stata) vittima di violenza: secondo le statistiche degli ultimi quattro anni, circa ogni due giorni viene uccisa una donna, cioè quasi un femminicidio al giorno. Donne uccise da uomini. Uomini che uccidono perché incapaci di gestire un rifiuto, una crisi, un fallimento, uomini incapaci di amare, di relazionarsi. È un preoccupante fenomeno sociale a livello mondiale, tanto che nel 1981, si decise di istituire “la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne”, il 25 Novembre, in seguito al primo “Incontro Internazionale Femminista delle donne latinoamericane e caraibiche”, avvenuto proprio quel giorno.


Dall’omicidio allo stupro, dallo stalking all’insulto verbale, i tipi di violenza possono essere diversi, ma in qualsiasi modo avvenga, mira a colpire la sfera intima della persona, anzitutto psicologicamente, e purtroppo spesso anche fisicamente. La donna non ha MAI nessuna colpa. Nulla può giustificare un assassinio o un pestaggio.  Ogni donna ha la propria storia. Troppo facile dire “perché quella donna non ha denunciato? io lo farei all’istante se mi trovassi in quella situazione!”, e anch’io mi chiedevo come mai le donne vittime di violenza non hanno il coraggio di opporsi, di uscire da quelle quattro mura che hanno perso l’odore di casa. Perché continuare a soffrire se la soluzione pare essere così semplice: andare via e denunciare. Poi ho capito. Quest’estate ho avuto l’opportunità di svolgere un servizio di volontariato, presso un centro antiviolenza, che funge da casa rifugio per donne maltrattate, in molti casi con i propri figli. Ho ascoltato i racconti di alcune donne, ed ho compreso quanto sia facile giudicare dall’esterno e quanto sia complicato trovare una via d’uscita da un’orrenda situazione mentre la si vive: c’è chi ha subìto schiaffi e minacce per proteggere i propri figli, chi ha sopportato una vita infernale perché non economicamente autonoma…
Non è semplice, ma qualcuna trova il coraggio di andare via, denunciare il “marito”, “caricare” i figli in auto e   chiedere aiuto ad una casa rifugio. Si rinuncia alla propria casa, ci si allontana dalla propria città, dalla propria famiglia, si stacca ogni tipo di contatto per tutelare sé stessa e i propri figli. Nel centro antiviolenza, le donne possono contare sull’aiuto e la protezione di operatrici e psicologhe, figure professionali essenziali per farle sentire al sicuro e incoraggiarle a prendere in mano la propria vita, come continuare gli studi, prendere la patente, iscrivere i figli a scuola… Ma ovviamente non è facile convivere con sconosciute o avere un budget limitato per la spesa, ed è per questi motivi che purtroppo alcune donne ritornano sui loro passi, perdonando i “mariti pentiti”, per poi rendersi conto che tuttavia condividere gli spazi con estranei e rinunciare a qualcosa per risparmiare soldi, sono sacrifici necessari, pur di non dover più incrociare lo sguardo di un figlio impaurito dalle sue grida disperate. L’aiuto di mediatrici, operatrici, assistenti sociali, avvocati dona speranza a queste donne che vogliono salvarsi. Questa esperienza estiva, mi ha insegnato a guardare a queste storie di violenza e soprusi senza giudicare certe scelte, in quanto dettate dalla disperazione. Non ho fatto molto, giocavo con i bambini, li aiutavo a fare i compiti, ascoltavo le storie di chi ha voluto raccontarsi, ed è stato importante per me aver contribuito alla serenità altrui, anche se per poco.

Michela Altarelli 4 Classico

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